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Trento, Consiglio regionale, 19-22 ottobre 2004
LA RIFORMA DELLE INDENNITÀ CONSILIARI
Intervento del Consigliere regionale Roberto Bombarda, Gruppo Verdi-Gruene-Verc
nelle sedute dei giorni 19-20-21-22 ottobre 2004

Signor Presidente, gentili Colleghe, egregi Colleghi
L’assemblea legislativa è chiamata in questi giorni a modificare la legge in materia di indennità e previdenza ai consiglieri regionali. Non poteva esserci, allo stesso tempo, momento peggiore e migliore come questo.

Non poteva esserci un momento peggiore di questo poiché la nostra storia, la nostra economia, la nostra società sono attraversate da un profondo senso di sconforto, di incapacità di fronte ad eventi drammatici e disastrosi a livello planetario; ma anche di fronte a situazioni di dramma umano e sociale come la perdita di tanti posti di lavoro. Ma allo stesso tempo non potevamo auspicare occasione migliore, per dimostrare ai nostri elettori che la politica sa farsi carico dei problemi della collettività, sa essere vicina ai cittadini, sa compiere scelte lungimiranti, quantomeno nei momenti più critici della nostra storia.

Ebbene, l’occasione è giunta per affermare che è finita l’era dei privilegi dei politici, che i rappresentanti della collettività qui riuniti vogliono dire basta alla stagione di iniquità che dura da molti, troppi anni.

La legge in trattazione in questi giorni si occupa di aspetti spinosi, ovvero le nostre indennità ed i nostri vitalizi. Questioni spinose poiché evidentemente c’è qualcosa che non va nel modo, nella forma, nella quantità in cui il nostro operare – un operare sicuramente importante e necessario per la società – viene remunerato dal punto di vista monetario.

Il dibattito ed il voto di questi giorni ci potrebbero consentire di tirare una riga, di segnare un punto di ripartenza per un rapporto nuovo, più trasparente nei confronti dei cittadini elettori.

La prima commissione legislativa ha licenziato un testo che, obiettivamente, incide sullo status attuale e che dovrebbe garantire un consistente risparmio per le casse pubbliche. Risorse che auspico possano essere prontamente impiegate per attuare moderne politiche di welfare, a difesa in modo particolare delle fasce più deboli della nostra società.

Rispetto a questo testo permangono però ancora forti perplessità, poiché a nostro avviso non incide a sufficienza su alcuni aspetti che qui voglio brevemente sottolineare.

Il primo aspetto è l’aggancio delle nostre indennità a quelle dei parlamentari, a loro volta agganciate a quelle dei magistrari. Bene, credo che sia giunta l’ora per dire basta a questo aggancio. Per stabilire noi, nella sovranità di quest’aula, un tetto alle indennità di nostra spettanza. Per fissare una cifra più contenuta rispetto ad oggi e che possa rimanere fissa nel corso dell’intera legislatura, o al più sensibile di aggiornamenti annuali sulla base di dati Istat.

Sono convinto che i nostri concittadini, nella gran parte, riconoscano al nostro lavoro una funzione utile ed importante, faticosa e costosa, cui deve corrispondere un adeguato compenso economico. Ma questo non significa che le nostre indennità debbano essere fuori controllo, collegate a variabili nazionali indipendenti dalla nostra volontà. Si è detto che il legislatore nazionale avrebbe voluto sottrarre l’assemblea legislativa dal compito di autodeterminarsi lo stipendio. Ma che belle parole. Ci dichiariamo autonomi, rivendichiamo costanti spazi di autonomia decisionale ed amministrativa, gestiamo oltre 16 mila miliardi di vecchie lire e temiamo di doverci stabilire lo stipendio! Per favore… L’autonomia non è un chewing-gum, un pezzo di gomma che possiamo tirare di qua o di là a seconda di come ci faccia comodo. Non possiamo invocare l’autonomia quando dobbiamo trattare argomenti piacevoli e rinnegarla quando i temi sono spinosi. Non possiamo criticare lo stato centralista, “padre-padrone”, quando ci fa comodo chiedere l’assegnazione di nuove competenze o di nuove risorse e poi invocare l’intervento di uno stato amico, una sorta di “madre-premurosa”, quando non abbiamo il coraggio di assumerci le nostre responsabilità. Dunque la prima questione va risolta sganciando, una volta per tutte, le indennità degli amministratori del Trentino-Alto Adige-Suedtirol da quelle dei parlamentari italiani. In questo senso andava interpretato uno dei passaggi del disegno di legge proposto dal nostro gruppo con altri colleghi trentini ed altoatesini che non ha trovato spazio in commissione, ma il cui principio intendiamo riproporre all’aula sovrana attraverso gli emendamenti.

La seconda questione è ancor più spinosa e, per questo, inaccettabile. Parliamo del famoso “assegno vitalizio”, quella che rimane la più alta iniquità che vige nel nostro sistema democratico. Quel sistema per il quale una persona che siede in quest’aula per un certo numero di anni può percepire una sorta di doppia pensione, tra l’altro molto elevata in termini monetari; pensione che può addirittura riversare sui propri cari nel giorno della sua dipartita da questo mondo. E’ vero che anche su questo tema in passato il legislatore è già intervenuto mitigando i benefici. Rabbrividisco al solo pensiero che alcuni nostri ex colleghi abbiamo percepito l’assegno vitalizio dopo una sola legislatura od al compimento del 50° anno di età... E’ altrettanto vero che anche la proposta contenuta nel disegno di legge numero 14, che qui stiamo discutendo, inciderà in qualche modo su questo privilegio. Ma perché, colleghe e colleghi, non siamo capaci di farla finalmente finita con questo ingiusto privilegio? Perché non abbiamo il coraggio di affermare che per svolgere la nostra funzione è giusto percepire un’adeguata indennità, ma è ingiusto percepire una doppia pensione? Forse che con la nostra indennità non possiamo costruirci, nel tempo, una pensione privata? Ed ancora. E’ mai possibile che ci siano persone che oggi percepiscono un assegno vitalizio superiore all’indennità di consiglieri ed assessori in carica? Ma in che razza di mondo viviamo? Nossignori, non sono questi diritti acquisiti, ma privilegi acquisiti, iniquità acquisite. Con quali motivazioni si può sostenere che un contributo di solidarietà a carico di questi privilegi costituisce un danno? Che cos’è il danno e chi l’ha compiuto per primo? E’ peggiore l’atto di chi ha costruito un sistema del genere o quello di chi sta tentando di demolire la fortezza dei pochi privilegiati? Non parliamo forse di soldi pubblici, cioè di tutti? E per favore, non venitemi a dire che anche nelle altre province o regioni sono in vigore regole analoghe. Se siamo autonomi e se autonomi può significare, anche, “più virtuosi”, allora si dia l’esempio al Paese, alle altre province e regioni.

Oggi possiamo completare il lavoro avviato dalla Commissione legislativa, la quale ha dato un primo, piccolo ma importante colpo di piccone. Adesso possiamo dare la spallata definitiva.

Quello che io vi chiedo – colleghe e colleghi – è un atto di coraggio: dire basta a questo sistema di cose. Non c’entrano il numero di legislature, l’attività svolta, i “meriti” sul campo della politica.

La politica è un servizio verso la collettività: quella di consigliere regionale è una funzione che una persona è chiamata a svolgere per alcuni anni della sua vita. Una funzione certamente importante e delicata, che va rispettata a fatta rispettare. Dando il buon esempio, quando serve. La nostra è certamente una funzione molto faticosa e mette a repentaglio la salute fisica e mentale. Mette pure a rischio i rapporti familiari e di amicizia. Ma quanti altri lavori mettono a rischio la salute e la famiglia! Eppure questi lavoratori non ricevono l’assegno vitalizio! Quella che stiamo svolgendo in quest’aula non è una professione. Per gli anni in cui svolgiamo la nostra funzione di rappresentanti del popolo dobbiamo ricevere una giusta indennità ed i giusti strumenti per poter compiere al meglio il servizio. Ma una volta finita questa “parentesi”, stop, basta, chiuso. Quello che hai avuto, hai avuto. Vuoi la pensione? Vai a lavorare, pagati i contributi, o pagatela con un’assicurazione privata. Ciascuno faccia la propria parte. Io sono un consigliere alla prima legislatura e dunque, con questa posizione, penalizzo – tra virgolette – proprio me stesso e quelli come me. E’ giunta finalmente l’ora per dire “basta!”.

In apertura dell’intervento ho affermato come questo sia il momento peggiore per parlare di queste cose, ma proprio per questo possa essere anche il momento migliore: perché una decisione nel verso di quanto da noi proposto farebbe compiere un salto di qualità alla politica locale. Ed anche all’immagine dell’intera classe politica regionale. Spesso accusata – a volte a torto, a volte a ragione – di essere sorda rispetto alle richieste della società civile. Ebbene, qui ed ora abbiamo la possibilità di correggere un’ingiustizia, di abbattere un sistema di privilegi iniquo, di dimostrare capacità di ascolto e di dare risposte certe e convincenti alla nostra collettività. Serve solo un po’ di coraggio, colleghe e colleghi (il coraggio che forse si può trovare solo nel segreto dell’urna. Certo sarebbe meglio votare alla luce del sole, far sapere ai nostri concittadini chi è per una nuova soluzione e chi è per conservare i privilegi. Ma se serve il segreto dell’urna per vincere la timidezza, allora si percorra anche questa strada: nel segreto dell’urna, al fianco del coraggio potremo ritrovare così anche la sobrietà, la dignità, il rispetto per il prossimo che hanno caratterizzato per secoli le nostre popolazioni montanare. Votando no al permanere dell’anacronistico aggancio alle indennità parlamentari e all’iniquo sistema degli assegni vitalizi segneremo una tappa storica nel cammino delle nostre comunità e della nostra Autonomia.

C’è infine un’ultima spiaggia, cioè quella di delegare in capo ai due Consigli provinciali la soluzione del problema, nel caso questo Consiglio dimostrasse incapacità o indifferenza. Vivendo e lavorando in Trentino ho la chiara sensazione che il Consiglio provinciale di Trento presenti una maggioranza di consiglieri - trasversale alle forze politiche di centrodestra e di centrosinistra - contraria al mantenimento dei vitalizi. Mi dispiacerebbe dover intraprendere con altri colleghi trentini una via legislativa per togliere anche questa competenza alla Regione. Regione come luogo dove mettere assieme le migliori energie del Trentino e dell’Alto Adige-Suedtirol, affinché il nostro territorio possa essere più forte nei confronti dello Stato, dell’Unione Europea e delle nuove sfide che ci attendono a livello internazionale. Regione quindi non come semplice ufficio erogatore dei pagamenti delle indennità e dei vitalizi dei consiglieri, ma molto, molto di più. So che rischierei di fare il gioco di quelle forze politiche che hanno sempre cercato di demolire l’istituzione regionale, una “casa comune” nella quale credo ancora e che io non avrei mai indebolito. Ma parafrasando il Bruto di Shakespeare quando afferma “non che io abbia amato Cesare meno, ma ho amato Roma di più”, mi permetto di concludere dichiarando: “non che io abbia amato la Regione meno, ma ho amato i miei concittadini di più”.

Grazie.

 

     

Roberto Bombarda

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BOMBARDA


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